Marco Brunazzo
University of Trento, Italy
Contrariamente a quanto avvenuto di fronte alla crisi economica e finanziaria del 2008, nel caso della pandemia del COVID-19 l’Unione europea ha saputo dare una risposta in modo veloce e sostanzialmente unitario. Tra gli interventi più significativi vi è la creazione del SURE, lo strumento di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza, il riorientamento dei fondi non utilizzati della politica di coesione per interventi a favore di indigenti, pescatori e agricoltori, il sostegno alla ricerca sul Coronavirus e la scoperta di un vaccino. La Banca centrale europea, inoltre, ha messo in campo una serie di iniziative finalizzate a calmierare la speculazione sui mercati finanziari attraverso l’acquisto di titoli di stato dei paesi più in difficoltà. Non solo. L’UE ha anche reso disponibili risorse attraverso la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (MES) e ha trovato un accordo su un piano di rilancio dell’economia europea chiamato Next Generation EU di 1.8 trilioni di euro, una cui parte delle risorse deriverà da prestiti contratti dalla Commissione europea sui mercati. Su questi due ultimi strumenti si è concentrato principalmente il dibattito politico in Italia. Un dibattito che, ancora una volta, evidenzia quanto sia distorto il rapporto che ha attualmente l’Italia con l’UE e quanto siano profonde le divisioni anche all’interno dell’attuale maggioranza che sostiene il governo di Giuseppe Conte. La situazione attuale è la seguente: i prestiti erogati per il settore sanitario tramite il MES sono immediatamente disponibili, ma sono prestiti, ossia devono essere rimborsati e sono in un qualche modo sottoposti a dei vincoli; i finanziamenti a fondo perduto e i prestiti del Next Generation EU saranno disponibili al più presto nella tarda primavera 2021. Nonostante una situazione economica e sanitaria che, con un eufemismo, potrebbe essere definita come “molto complessa”, il governo italiano ha deciso di non utilizzare i fondi del MES e di attendere i grants del Next Generation EU.
Si tratta di una vicenda kafkiana, ha scritto il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana lo scorso 19 ottobre. Il governo non vuole attingere dal MES i 37 miliardi di euro a tasso negativo da spendere per potenziare la sanità perché teme che il principale partito di maggioranza, il Movimento 5 Stelle, si divida su questa decisione, mettendo a repentaglio la vita stessa del governo. E perché? Perché il Movimento 5 Stelle ha costruito molto del suo successo elettorale sull’euroscetticismo: ha sostenuto a lungo che i poteri forti di Bruxelles utilizzassero i prestiti erogati per spogliare gli stati della loro sovranità. Per esempio, il MES è stato considerato dal Movimento 5 Stelle come il responsabile delle difficoltà di ricrescita della Grecia dopo la crisi economica del 2008, e poco importa se le condizioni di prestito siano nel frattempo cambiate: il MES rimane intoccabile. Lo ha più recentemente affermato anche lo stesso Giuseppe Conte: l’Italia non userà il MES perché non l’hanno usato gli altri paesi europei, e lo stigma che ne seguirebbe evidenzierebbe la debolezza del Paese. Così dicendo, lo stesso presidente del Consiglio ha reso ancora più evidente agli investitori che, se mai l’Italia userà il MES, sarà a causa della sua strutturale (e non contingente) difficoltà.
Intanto, la seconda ondata della pandemia avanza e l’Italia si trova a fare i conti con i mancati investimenti nel settore della sanità e della prevenzione pandemica che il MES avrebbe potuto aiutare a risolvere: un numero insufficiente di terapie intensive, un sistema di trasporti pubblici antiquato e inadeguato alle attuali misure di distanziamento sociale, una rete internet lenta e poco capillare che riporterà alla luce tutti i problemi evidenziati dalle lezioni a distanza che le scuole hanno dovuto adottare la scorsa primavera. Piuttosto che utilizzare un prestito europeo di 37 miliardi a tasso negativo, l’Italia ha preferito fare ricorso ad oltre dieci miliardi di indebitamento a un tasso del 2% attraverso l’emissione di buoni del Tesoro. Così facendo il rapporto debito/PIL crescerà oltre il 160% nel 2020.
La vicenda del MES è preoccupante anche in prospettiva, perché getta un’ombra sulla capacità di utilizzare in modo proficuo i fondi (quando saranno disponibili) del Next generation EU: se l’obiettivo non è quello di identificare una strategia coerente di rilancio dell’Italia ma quella di assecondare gli interessi dei partiti, è facile che anche gli eventuali finanziamenti europei finiscano per essere male utilizzati.
Tanto, poi, è sempre colpa dell’Unione europea. O forse no?
Bio: Marco Brunazzo is Associate Professor of Political Science at the Department of Sociology andSocial Research at the University of Trento (Italy). Jean Monnet Chair in European Studies, between 2011 and 2016 he directed the Jean Monnet Centre of Excellence at the University of Trento. He is member of the Authority for Public Participation of the Autonomous Province of Trento. His most recent books are “La politica dell’Unione europea” (Milano, 20202) and “Italy in the EU: A Rollercoaster Journey” (New York, 2020).